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Riconoscimento professionale: perchè le regioni non si muovono?
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ANNO IV N.7 GENNAIO-GIUGNO 1993 - AIATEL NOTIZIE

RICONOSCIMENTO PROFESSIONALE: PERCHE’ LE REGIONI NON SI MUOVONO?

Il 2000 si avvicina, le frontiere europee sono state aperte, la disoccupazione giovanile (e non solo) aumenta, ma le Regioni si mostrano ancora incapaci di pilotare lo sviluppo.

L’animazione è un settore nel quale tutta la debolezza, il ritardo e l’insipienza delle Regioni appaiono vistosamente. Da qualche anno ormai il Ministero del Lavoro ha individuato le qualifiche professionali dell’animatore (polivalente, turistico, teatrale e di comunità), ma le Regioni non riescono a produrre una normativa né a organizzare una formazione professionale specifica. Da anni esiste una Legge del Turismo che demanda alle Regioni una legislazione apposita per l’animatore turistico, ma nessuna Regione si è mossa. Da anni ormai la società civile, i servizi sociali, assistenziali, culturali e ricreativi, le organizzazioni sportive e del tempo libero, fanno uso di animatori e chiedono a gran voce una normativa sia per la professione sia per la formazione, ma le Regioni tacciono. Con tre sole eccezioni. La Regione Piemonte e la Regione Emilia-Romagna hanno finalmente attivato e riconosciuto dei Corsi biennali pubblici, incamminandosi sulla strada giusta del totale riconoscimento professionale. La Regione Veneto si è inventata la figura dell’educatore-animatore varando da qualche anno corsi pubblici appositi. Questa bizzarri intanto pone problemi giuridici, dal momento che il Ministero del Lavoro ha inserito nel repetorio delle qualifiche solo quattro tipi di animatore: polivalente, di comunità, turistico e assistente anziani. L’animatore-educatore, l’animatore socio-culturale, l’animatore sociale sono dizioni o errate o informali, comunque istituzionalmente inaccettabili. Sul piano occupazionale, unire animatore e educatore significa, da una parte intasare i servizi socio-assistenziali, dall’altra lasciare scoperto il fabbisogno di animatori nei più vasti settori dell’agio. Sul piano formativo infine, chiunque abbia dimestichezza coi curriculi delle due figure potrà rilevare che il monte ore sovrapponibile non supera il 20% che è poi la percentuale comune a tutti gli operatori "sociali".

A parte la mostruosità politica, istituzionale, formativa e occupazionale di simile idea, va però riconosciuto che l’errore del Veneto è pur sempre meglio del silenzio di tutte le altre Regioni.

Poiché da vent’anni l’Aiatel si batte per lo sviluppo e la qualifica della professione animatore, proviamo per l’ennesima volta a sintetizzare la questione, nella speranza che qualche Regione (magari quelle con un nuovo ceto politico) si muova.

Cominciamo dall’accenno al 2000, che ormai è prossimo. Cosa significa? La svolta del XX secolo ha un valore simbolico, perché indica l’ingresso a vele spiegate nell’Evo dell’Immateriale. Il XXI secolo (v. Naisbitt, Toffler, Morin) metterà al suo centro le esigenze e le pratiche immateriali: la cultura. L’espressività, la creatività. Il trend è da tempo visibile: i bisogni sociali e le risposte politiche che riguardano l’immateriale sono e saranno sempre più al centro dell’Occidente. Quindi sono sempre più cruciali le professioni dell’immateriale impegnate nella comunicazione, nell’espressività, nelle relazioni, nella produzione di idee. E l’ANIMAZIONE è fra queste.

Il secondo stimolo riguarda l’Europa. Con l’apertura delle frontiere, vogliamo registrare l’immigrazione degli animatori francesi, belgi, spagnoli, tedeschi che da anni hanno un riconoscimento ed una formazione pubblici?

Il terzo accenno va riservato all’emergenza disoccupazione. La carenza di legislazione professionale per l’animazione sottrae al mercato dell’occupazione giovanile non meno di 20.000 posti di lavoro. oggi questi posti sono occupati in forma precaria o sommersa, stagionale o semi-volontaria da giovani che perciò si considerano disoccupati. Una buona legislazione regionale per la tutela della professione ed una seria lettura dei bisogni immateriali oggi presenti nella società, potrebbero, senza eccessivi costi aggiuntivi, trasformare 20.000 disoccupati o sotto-occupati in lavoratori stabili.

Ma di quale animatore stiamo parlando? Non certo di quello inventato nel Veneto, a volte anche ipotizzato in Lombardia. Stiamo parlando dell’ANIMATORE POLIVALENTE, che si può anche definire socio-culturale o di comunità territoriale, che opera ed opererà sempre più nei settori della cultura, del tempo libero, della prevenzione. Il grande equivoco in cui alcuni cadono è quello di identificare il SOCIALE (settore cui l’animazione certo appartiene) con il socio-assistenziale. Per cui il settore di elezione dell’animatore sarebbe quello dei servizi per il disagio. Al contrario, il settore d’elezione dell’animatore è quello dell’agio, perché scopo dell’animazione è "far divertire, far fare e far esprimere": cioè favorire la soddisfazione di bisogni che oggi sono di tutti. Il sociale nel quale agisce oggi l’animazione comprende la cultura, l’arte, il turismo, i linguaggi espressivi, lo sport non agonistico, l’aggregazione, la ricreazione, il gioco. Il settore assistenziale (del disagio) è una parte quantitativamente modesta della professione dell’animatore.

Da questa impostazione emerge anzitutto che il fabbisogno di animazione oggi è enorme. Non solo il fabbisogno potenziale, cioè quello che riguarda le domande dei cittadini, ma anche quello attuale, cioè che riguarda i servizi esistenti. Non vi è dubbio che oggi ogni dopolavoro aziendale, circolo o progetto culturale del decentramento, centro polisportivo, museo o biblioteca, pro loco o campeggio, centro di aggregazione per giovani o anziani, progetto di prevenzione primaria, parco o riserva naturale, campo giochi o ludoteca, per funzionare bene HANNO BISOGNO DI UN OPERATORE QUALIFICATO che possiamo chiamare ANIMATORE.

In secondo luogo si può convenire che la vicinanza fra animatore ed educatore è minore che fra animatore e psicologo, animatore ed organizzatore culturale, animatore e operatore artistico, animatore e tecnico delle pratiche corporee.

L’ANIMATORE di cui stiamo parlando è un operatore sociale polivalente, cioè capace di intervenire professionalmente in diversi ambiti e con diverse utenze, i cui fini (comuni a tutte le professioni sociali) sono il benessere e la crescita personale, culturale e sociale dell’utenza, individuale e collettiva. Ma i cui mezzi di intervento (che lo differenziano dalle altre professioni sociali) sono il DIVERTIMENTO (gioco, festa, spettacolo, movimento, spostamento) e la CULTURA (linguaggi espressivi, ricerca sociale, tradizioni, ambiente).

E’ ovvio poi che tale professionista deve operare secondo il metodo della programmazione e della verifica; deve operare, negoziando un consenso fra le realtà pubbliche e private del territorio; deve operare per utenze collettive più che individuali; deve operare in èquipe mono o pluriprofessionali. Ma queste sono connotazioni comuni a tutti gli operatori sociali. Ciò che definisce una professione è l’insieme dei mezzi specifici d’intervento, e l’animatore è il professionista sociale che usa in esclusiva, per fini e con metodi che sono comuni ad altre professioni, i mezzi RICREATIVI E CULTURALI.

E’ possibili identificare, oltre all’animatore a 360° che chiamiamo POLIVALENTE (e che perciò ha maggiore flessibilità occupazionale), degli animatori di SETTORE come il turistico, come lo sportivo, quello per le Case di Riposo, o quello per il museo, o degli animatori di PROGETTO (come gli animatori di soggiorni estivi o di scambi internazionali), che tuttavia devono considerarsi o come specializzazioni o come diplomi intermedi. Il III FORUM delle Scuole di Formazione per Animatori, tenuto a Milano nel 1991, ha identificato i seguenti standards minimi di formazione: 1000 ore in un bienni per il Polivalente, 300 ore in un anno per il Settoriale e almeno 100 ore per l’animatore di Progetto.

Infine è possibile identificare 3 gradi o livelli di funzioni per l’Animatore Polivalente, ma anch’essi da considerare come stadi di specializzazioni: l’Animatore che opera in VIA DIRETTA con un piccolo gruppo di utenti; l’Animatore che opera con più gruppi e che svolge soprattutto funzioni ORGANIZZATIVE; l’Animatore che opera dentro una ISTITUZIONE COMPLESSA.

Può essere utile questo tipo di operatore in situazioni di disagio grave? A volte sì ed a volte no, ma ciò che conta è che per l’animatore il disagio è solo un vincolo operativo, da considerare, ma non più che quello di utenti con lingue diverse (campi di lavoro internazionale).

Non esiste un animatore per gli anziani, più di quanto esista un cuoco per gli anziani: entrambi devono solo pensare a menù più leggeri. E un animatore che opera in un villaggio turistico di proprietà dei sindacati o per una pro loco lacustre, non fa niente di diverso da quello che fa un animatore in un servizio del decentramento urbano: l’unica differenza è nell’abbigliamento.

Concludiamo dicendo che tutte queste cose sono chiare e note all’Aiatel, alla Sia, agli autori delle decine di libri ed articoli pubblicati e ai partecipanti ai Convegni nazionali ed internazionali negli ultimi vent’anni: perché dunque i funzionari delle Regioni latitanti continuano a dire che "il profilo dell’animatore non è chiaro"? insomma cosa aspettano le Regioni a muoversi?

GUIDO CONTESSA