Ritornare a Torino e nei sottoscala.
In concreto, l'animazione deve "tornare a Torino"
nel senso di tornare negli ambienti autonomi, semi-volontari,
non finanziati e privati, dei sottoscala. Il concetto di privato
non finanziato, non significa profit: nessuno rischia di diventare
capitalista con l'animazione. Ed anche se significasse profit,
cosa c'è di male nel guadagnare facendo animazione ?
Nessuno mette in discussione il fatto che esistano imprese sanitarie
straricche, con tanto di capitali e di guadagni. Eppure un fondamentalista
del "politicamente corretto" potrebbe accusare questo
comparto di fare profitti sulla malattia e la morte. Invece
si impennano voci becere di moralisti idioti o in malafede se
si parla di rendere profittevoli le comunità per tossicodipendenti,
i centri culturali, i parchi-gioco per minori. Addirittura le
UE e le Regioni decretano in molti casi che la formazione professionale
o l'attività preventiva o l'educazione debbano essere
fatte senza guadagni ! Questo fanatismo talebano della finta
solidarietà, non solo porta a favorire i produttori di
moto e di scarpe firmate, non solo svaluta tutti i servizi immateriali
agli occhi degli utenti, ma serve a mantenere l'intero comparto
degli operatori dell'immateriale in una condizione di precarietà
e ricattabilità. E' sorprendente sentire i politici benpensanti
(di tutti i partiti) gridare allo scandalo per il lavoro nero
e precario nelle bassi artigiani di Afragola, dopo che legittimano
lo sfruttamento più bieco della forza lavoro nella scuola,
nelle Asl, nella formazione professionale, nei progetti promossi
dallo Stato. Un'animazione che non rinuncia ai finanziamenti
pubblici rinuncia alla sua autonomia. Vende l'anima per soldi
(ed anche pochi). Alla fine degli Anni Settanta, quando ancora
si discuteva di qualcosa, era vivo il dibattito sulla utilità
di fornire all'ente pubblico le risorse delle professioni immateriali.
C'era chi teorizzava sul totalitarismo delle istituzioni pubbliche,
a volte peggiore di quello delle imprese. E dunque proponeva
l'estraneità delle professioni immateriali dalle istituzioni,
sia pubbliche che private, in favore di prestazioni fornite
direttamete all'utente. I più ottimisti indicavano la
possibilità di "spazi interstiziali", isole
dentro le contraddizioni, dove forse era possibile prestare
servizi senza colludere troppo col potere. Vinse la linea ottimista
(ed io ero in questa) anche perché ci fu una generale
esaltazione per l'avvento delle "Giunte rosse".
Scoprimmo presto che tutto quello che lo Stato proibiva -giustamente-
alla Fiat (dal lavoro nero, irregolare, precario agli ambienti
malsani; dal controllo sul sindacato alle prepotenze dei capi-reparto),
lo Stato concedeva a se stesso, alle Regioni, ai Comuni. Valletta
si era inventato il "sindacato giallo", ma i baroni
degli Enti Locali e del privato sociale non ne hanno bisogno.
Con la astensione delle Confederazioni sindacali, tutto il comparto
del Welfare è cresciuto senza l'ombra di un sindacato
di categoria.
L'animazione deve tornare all'estraneità dalle istituzioni
e tutt'al più, se esistono, agli "spazi interstiziali",
alle fessure, alle crepe che comunque il sistema non riesce
a compattare. L'animazione deve affidarsi alla fornitura di
servizi privati alle persone o ai gruppi, e magari alla sperimentazione
in situazioni protette e garantite, non tanto dal punto di vista
economico quando da quello dell'invadenza e prepotenza del potere
dominante. Questo significa tornare alle cantine di Torino.
L'animatore come promotore di cattedrali.
La storia delle cattedrali è molto istruttiva. Nessuna
di esse è mai stata finita quando chi ne ha promosso
la costruzione era ancora in vita. Ciò significa che
il progettista o finanziatore davano il via all'impresa ben
sapendo che non ne avrebbero vista la fine. Raramente le cattedrali
venivano finite come erano state progettate. Nei decenni o
secoli richiesti dalla costruzione intervenivano crisi, battaglie,
pestilenze, finanziamenti aggiuntivi o esauriti, tali da produrre
nell'edificio numerose varianti. Il progetto c'era, ma veniva
cambiato secondo le necessità. Infine, il che è
molto suggestivo, la cattedrale era un'impresa della comunità.
C'era i professionisti ed i manovali retribuiti, ma tutta
la comunità partecipava con corvèes volontarie.
La cattedrale era l'impresa collettiva che favoriva l'unità
comunitaria ed insieme ne era una testimonianza. La cattedrale,
frutto del fare e del costruire, era il simbolo della comunità
più della bandiera, che era data. Nelle comunità
più grandi le cattedrali o le grandi chiese sono numerose.
Ogni agglomerato di case, ogni micro-comunità urbana,
costruiva il suo simbolo, la casa di tutti, oltre che del
Signore. Oggi dopo secoli, tutto il mondo gode delle cattedrali
europee, e specialmente italiane. Esse sono una ricchezza
materiale e spirituale inimitabile, e la modernità
non lascerà nulla di simile ai suoi pronipoti.
L'impresa che attende gli operatori dell'immateriale e gli
animatori fra essi, può paragonarsi alla costruzione
di cattedrali. Se iniziamo ora, molti di noi non ne vedranno
l'esito, perché non ci vorrà meno di mezzo secolo.
Possiamo iniziare con un progetto, ma sapendo bene che in
mezzo secolo troppi eventi ci costringeranno a modificarlo.
Infine, possiamo avere successo solo coinvolgendo l'intera
comunità.
Il problema non va affrontato in termini corporativi o sindacali,
come se fosse limitato all'emancipazione e ai diritti economici
di un gruppo, sia pure vasto, di operatori. Se il ceto degli
operatori immateriali facesse questo errore, fallirebbe nella
sua missione politica e civile. La comunità deve essere
coinvolta dagli animatori e dagli operatori dell'immateriale
nella (ri)costruzione della cattedrale del senso della vita,
della convivenza e del benessere nei prossimi anni. Se non
noi, chi? Se non ora, quando?
Oggi il livello di sbandamento, frantumazione, anestesia e
non-senso è al punto più elevato degli ultimi
30 anni. E' vero che nessuno può dire se non sia possibile
peggiorare, ma è anche vero che non è necessario
arrivare al fondo per provare a risalire. Ma chi dovrebbe
stimolare e aiutare la società a vedere più
chiaro nel groviglio attuale? I partiti sono mere lobby d'affari.
I politici attori che recitano a soggetto. Gli operai stanno
scomparendo. I governi e le amministrazioni locali mai come
oggi hanno realizzato l'immagine marxiana del "comitato
d'affari". Gli imprenditori si stanno trasformando velocemente
in finanzieri d'azzardo. La piccola e media borghesia, classe
leader della Modernità, è paralizzata dal terrore
di perdere il suo posto da mediano della scala sociale. Il
ceto intellettuale è stato da tempo cooptato e comprato
dalle lobby partitiche, o dalle cordate dei padrini della
politica. Quale ceto sociale, quale parte sociale, quale gruppo
sociologico è nelle condizioni ed ha le capacità
culturali per assumere una funzione di ispirazione e stimolo
della società ? I filosofi e gli psicologi, i sociologi
e i formatori, gli insegnanti e gli educatori, gli esperti
di informatica e di tecniche del benessere fisico, gli istruttori
delle attività di tempo libero, i terapisti, i creativi
e i pubblicitari, e gli animatori: tutti coloro che praticano
il lavoro immateriale, hanno gli strumenti culturali necessari
e vivono la condizione adatta. Certo, si tratta di un aggregato
molto eterogeneo ma non più di quello della piccola
borghesia che patrocinò la Rivoluzione francese. Il
fatto è che tutti costoro, per il lavoro che fanno,
hanno familiarità coi problemi del senso e dell'autonomia,
dell'espressività e del corpo, della socialità
e della creatività, dell'estetica e delle emozioni,
del benessere e delle relazioni. E quindi hanno le risorse
concrete per aiutare la gente del XXI secolo a trovare le
risposte che ha smarrito. E sia chiaro, aiutare a trovare
perché il cambiamento può generarsi solo dal
basso. Nessuno pensi alla costruzione e vendita di una nuova
ideologia prefabbricata in qualche salotto o laboratorio:
sarebbe una nuova delusione. Si tratta di stimolare nella
maggioranza le motivazioni, l'energìa e le competenze
perché trovi da sola nuove risposte.
Proprio come nella costruzione di cattedrali, gli iniziatori
danno il via, accendono la miccia, mettono insieme i mattoni
di partenza, ma l'edificio finito non è il loro: è
quello che la comunità e la storia hanno deciso. Gli
operatori sociali devono dare il via ad una grande cattedrale
post-moderna o meglio a centinaia di cattedrali immateriali,
come imprese collettive, per ripensare all'educazione e alla
formazione, ai servizi e progetti per il disagio, ai modi
di convivenza e di lavoro, alle nuove relazioni. Non ha più
senso dissipare energìe per questo o quel servizio
locale, né per piccoli o grandi progetti settoriali
ed effimeri che la solita beneficenza politica finanzia. Gli
animatori devono trovare il coraggio e la consapevolezza di
chiamare le comunità a riprogettarsi, partendo da tutti
i bisogni e le risorse potenziali che ora sono sepolti. Se
a fianco del coraggio, gli animatori troveranno anche le competenze
umane e tecniche (qui intendiamo le tecniche per avviare cattedrali,
non i cento modi per fare burattini), allora forse c'è
ancora un futuro, prima che scenda l'oscurità del nuovo
Occidente imperiale.
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