Ottobre 2001

Genova: prova tecnica di dominio (Acarus, Nord EST Pianeta Terra, ottobre 2001)

La prima domanda che occorre porre a proposito di quello che è accaduto a Genova è: perché i leaders dei più ricchi e potenti stati del mondo hanno scelto di tenere le loro contestate riunioni non in un luogo isolato - un castello o una dimora in piena campagna come non è certo difficile trovare in Europa - ma in una popolosa e antica città, dove i problemi di ordine e di sicurezza erano tali, da richiedere uno spiegamento di mezzi e di forze, che avrebbero necessariamente compromesso la pace degli abitanti e implicato rischi di ogni genere? Perché mettere inutilmente in stato d'assedio una grande città? Perché questo spreco di energie umane e di denaro? Perché, infine, creare le condizioni in cui anche delle vite umane avrebbero rischiato di essere sacrificate? Non vedo altra riposta possibile che questa: si trattava di mettere alla prova le nuove forme del dominio mondiale, i nuovi dispositivi che stanno trasformando radicalmente sotto i nostri occhi ciò che abbiamo finora chiamato politica e democrazia. La posta in gioco in questo "esperimento del potere" era tanto più vitale, in quanto non si trattava soltanto di mettere alla prova nuove regole, quanto di articolare il nuovo modello di spazio urbano e sociale in cui essi dovevano essere fatti valere. Si trattava cioè, di trasformare ciò che sembra più difficilmente controllabile - il tessuto urbano di un'antica città europea (e Genova coi suoi carruggi e il suo centro storico non era stata scelta a caso) - in una zona di controllo assoluto, secondo un modello che non è tanto quello giuridico dello stato di assedio, quanto quello di una città medievale appestata, divisa in zone di sicurezza graduata, alcune delle quali sono abbandonate al contagio e in cui il controllo è minimo, e altre sempre più isolate e protette. L'analogia fra organizzazione dello spazio geopolitico esterno e articolazione dello spazio sociale interno è assoluta. Così come il mondo è stato diviso dagli strateghi del potere in fasce di turbolenza graduata, in cui a zone di sicurezza assoluta, in cui non sono possibili guerre di nessun tipo, seguono zone-cuscinetto in cui il disordine può spingersi fino a un certo limite e poi terre di nessuno in cui tutto può avvenire, così ora anche le antiche città d'Europa come le metropoli americane sono divise in fasce di diversi colori e di diverso controllo, che riproducono nella loro struttura la nuova articolazione del potere mondiale. A Genova si è visto come possono essere innalzate griglie e cancelli che trasformano il vivo tessuto urbano in uno spazio morto che ricorda quello di una città appestata o di un campo di concentramento. "Ecco le città, ecco il mondo in cui vi faremo vivere, in cui, anzi, senza accorgervene già vivete": questo è il messaggio che a Genova il potere ha lanciato all'umanità.    

Otto Ottobre 2001: prove tecniche di III Guerra Mondiale (Guglielmo Colombi)
La Teoria del Campo, creata da K.Lewin, e la seguente psicosociologia, promossa in larga misura da ricercatori anglosassoni, ci hanno insegnato tre concetti essenziali per la convivenza umana.

Il primo è la "spersonalizzazione" del conflitto. Per la cultura di gruppo il conflitto altro non è che la naturale conseguenza delle inevitabili frizioni fra parti diverse interne ad uno stesso campo. Ogni campo (o sistema) è formato da "regioni" o parti che devono essere differenti in buona misura. per assicurare all’insieme un potere evolutivo e differenziatore. Il tabù dell’incesto è la prima traduzione storica di questo concetto. Il conflitto non è mai causato da una delle regioni, ma è il risultato dell’intero campo o, in altre parole, delle relazioni esistenti fra le regioni. Su questa base sono nate la medicina olistica prima e la terapia della famiglia o sistemica poi. L’idea di fondo è che i conflitti sono "sintomi" (le nevrosi sono il risultato di conflitti intrapsichici) di un insieme disfunzionale, al suo interno o verso l’esterno. Secondo tale ottica, la leadership, come il "negativo" ed ogni altro ruolo sociale, sono l’espressione del campo o sistema che li creano. Non è l’imperatore che fa l’impero, ma viceversa. Hitler non ha creato il nazismo, più di quanto il nazismo abbia causato Hitler. La mafia non è solo la causa della degenerazione delle Istituzioni, ma anche l’effetto di quella. Il conflitto agito distruttivamente non può essere letto in modo da farlo discendere da una causa univoca, scotomizzando il bene dal male, e la ragione dal torto. Il conflitto è il segno del fallimento della convivenza fra diversità, e quindi del depotenziamento dell’insieme, rispetto al suo destino evolutivo. Non solo l’espressione del diabolico; non solo il ricettacolo del male e del torto; non solo la causa del disagio: l’altro polo del conflitto è sempre l’emergenza di una carenza dell’insieme.

Per questo, è estranea alla cultura psicosociale l’idea di una rimozione, escussione, emarginazione, o peggio, soppressione del portatore del conflitto. Eliminare il portatore del conflitto non riduce le possibilità della sua riemersione in altre forme, perché esso rappresenta una parte dell’insieme che, malfunzionando, l’ha prodotto. In psicosociologia non esiste il nemico bensì l’avversario, l’antagonista, il doppio, l’ombra, l’oppositore che interpreta una polarità indispensabile all’insieme e presente, in diverse dosi, in ogni regione di esso. Il conflitto va "spersonalizzato" perché esisterebbe anche se il soggetto che se ne fa portatore fosse eliminato; perché il diabolico (l’oppositivo) è inestricabilmente legato al simbolo (il consenso, l’unità); e perché insieme, l’uno e l’altro, sono punti nodali del flusso evolutivo della società.

Se tutto ciò è vero, perché parliamo tanto di Bin Laden?.

Il secondo è la necessità di circoscrivere il conflitto. Un conflitto è sempre il risultato della espressione piena di diversità che convivono nello stesso campo. Un conflitto non elaborato ma agito distruttivamente, è il sintomo di una relazione sbagliata fra le parti in campo. Le parti o regioni di un campo hanno tuttavia relazioni multiple fra loro e con tutte le altre regioni. Per esempio due individui possono essere in conflitto sul lavoro, ma in buoni rapporti amicali. Due nazioni possono essere in conflitto commerciale, ma alleate sul piano militare. Nell' epoca post moderna, sono sempre più diffuse la pluriappartenenza e la relazionalità multiforme. Qualcuno è nostro avversario su un piano e nostro partner su un altro. Altri sono avversari su un certo campo, ma alleati su un altro.

La gestione di un conflitto distruttivo deve avere come primo obiettivo la sua limitazione e circoscrizione. Estendere il conflitto da un campo a tutti gli altri e allargarlo da un solo avversario alla volta a più avversari, è operazione da evitare a tutti i costi. Un conflitto fra un Paese di Occidente e un manipolo di terroristi è tutt'altra cosa che un conflitto fra cristianità e islam. Se un sistema (il pianeta terra) si spacca in due fazioni in conflitto, chi potrà svolgere il ruolo di "terza parte" capace di facilitare il ritorno dal conflitto distruttivo alla competizione dialettica? Un conflitto a due parti, ed esteso ad ogni settore del campo, porta al vicolo cieco dell'io vinco tu perdi; non lascia vie d'uscita; porta alla disperazione e ad un' escalation della posta in gioco.

Se questo principio della psicosociologia è vero, come mai tutti i Paesi di Occidente si sono precipitati ad aderire a "qualunque azione gli Usa decidano"?

Il terzo è: la strategia di intervento non può essere solo sintomatica né solo repressiva.Questo principio non richiede l’astensione, o l’indifferenza morale, o la rinuncia a prendere iniziative contro il conflitto. Non è la negazione del conflitto o della sua distruttività. E' invece la conseguenza di una visione olistica dei sistemi. La riduzione del sintomo è utile temporaneamente, ma non riduce la cause di insorgenza del malessere, che vanno cercate nell'insieme delle relazioni fra parti. La repressione è anch'essa utile e necessaria per sedare una parte del sistema, nel breve termine, ma se si propone di arrivare al più presto ad una azione rimodellante. Ogni psicologo sa che le cure sintomatiche, i sedativi, le misure restrittive hanno una funzione transitoria e temporanea e devono essere accompagnate o seguite da vicino da interventi di cambiamento. Punire i terroristi è giusto e doveroso; punire i Paesi che consapevolmente hanno alimentato il terrorismo, può essere ugualmente utile e giusto. Ma questa non è la cura. Ridurre l'insorgenza di nuovi terroristi e di nuovi Paesi fiancheggiatori: questa è la cura !!!

Ma allora perché non si sente parlare di un piano per la riformulazione dei rapporti internazionali?

La risposta alle domande sopra esposte, è che l'8 Ottobre non è affatto iniziata una fase di emergenza e di uscita dal conflitto. Piuttosto quel giorno sembra iniziata una grande prova tecnica di III Guerra Mondiale, fra l'impero di Occidente e l'Islam. L'8 Ottobre 2001 è nato ufficialmente l'Impero e l'Islam ha iniziato una lunga marcia verso l'unità, non "per" qualcosa ma "contro" l'Occidente. Due civilizzazioni hanno iniziato a scontrarsi. L'Occidente in declino e l'Islam in ascesa sono entrati nel lungo tunnel di una mortale guerra per la supremazia sul pianeta. Una guerra che non prevede vincitori, ma solo superstiti.