Marzo 2004
Stato, legalità, appartenenza -
3 marzo 2004 (Acarus)
La morte dello Stato, quale forma
di espressione del legame sociale nel nostro Paese, sta occupando la scena
del teatrino della Politica. Il percorso
storico che porta alla nascita dello Stato Nazione è segnato in maniera
indissolubile alla concezione moderna della legalità: svincolata dall'origine
divina del potere, la legalità che fonda lo Stato-Nazione si radica nel
contratto tra i cittadini e nella cessione a terzi (rappresentanti) di poteri
governamentali e dell'esercizio della violenza (polizia).
Il legame, nella sua forma originaria, ha sempre presentato - a fianco di quella squisitamente politica - anche una valenza psicologica e sociale. Non c'è legame senza appartenenza, non c'è appartenenza senza legame. Appartenere significa dare significato al rapporto tra individuo e gruppo, gruppo e collettivo, individuo e collettivo. Cioè significa costituire un'identità: introiettare i valori, le regole, il modo comunicativo di un determinato sistema, ma anche poter trovare in tale sistema spazio per la propria espressione di potere. Quello che ci lega ad uno Stato è il senso di appartenenza e, altrimenti, lo Stato può vivere - con il minor numero di patologie possibili - se chi vi aderisce è legato ad esso, sentendo di farne parte e così di poterne influire, direttamente o indirettamente, scelte e orientamenti.
La crisi della forma Stato, in Italia, viene da lontano, ma è dal 1989 che si pone all'attenzione di tutti, anche per merito dei tentativi istituzionali che intendono fare fronte ad essa. La presunta "nouvelle vague" della 2° Repubblica da allora, si sta cimentando in continui quanto fallimentari tentativi di riformulare il legame collettivo, patto sancito attraverso la e descritto nella Costituzione. Di questo fallimento hanno fatto le spese dx e sx, in parti uguali e con ferali conseguenze per coloro che ne erano latori. Poiché questi tentativi, spesso altro non erano che merce di scambio e di ricatto: la bicamerale lo fu tra il Cavaliere e D'Alema, la devolution lo è oggi tra il Senatùr e la Casa delle Libertà.
Mai nessuno però ha interpretato questi fallimenti alla luce di un'incapacità interna (ai gruppi di potere, ai partiti, alle coalizioni, alle maggioranze) di far rinascere e rinverdire e, al limite riformulare, il legame dunque il senso di appartenenza che li tiene in piedi. Le forme della rappresentanza non esprimono al loro interno modalità efficaci di collegare il singolo (deputato/senatore) al collettivo (gruppo parlamentare/partito/maggioranza-minoranza). Sono dunque gruppi ed organizzazioni "assolute", sciolte dal legame interno e da quello con lo spazio nazionale e con il popolo degli elettori.
Governo, maggioranze, partiti non sono altro che portatori e insieme sintomi dell'agonia, lenta ma inesorabile, che colpisce il Paese: i legami che li tengono insieme e che li dovrebbero legare ai cittadini si stanno definitivamente sciogliendo. Non solo si sono rotti i gruppi dei rappresentanti, ma anche i rappresentati (il popolo!) non trova significativo rispettare il legame fonte della forma Stato-Italia.
Il risultato è che lo Stato-Nazione-Italia oggi non si fonda su un legame sociale e un vissuto di appartenenza collettivo, di cui sarebbe espressione, ma sul suo scioglimento (déliaison), che vieta. I simulacri infatti sono ritornati in gran spolvero: bandiera e inno ne sono testimonianze evidenti. E chi non vi si adegua è un "cittadino canaglia" (rogue citizen) da espellere se non accetta di essere inglobato, annesso o sottomesso.
Tre esempi di questi giorni ..
Il Partito
Di fronte al voto per il rifinanziamento della missione militare italiana in Iraq, il maggior partito della sx si spacca. A chi restituisce la tessera, il Segretario risponde con parole di rispetto per le scelte individuali. A chi accetta di votare con la morte nel cuore, il partito restituisce le parole d'ordine di altre culture: onore e fedeltà ai valori del partito. Non emerge da nessuna delle parti (correnti e correntoni) una versione autocritica della vicenda. Nessuno ammette che attraverso questi fenomeni si esprime la morte di un modo di appartenere (sentirsi parte) ad una organizzazione. Ma che anzi il rispetto per le scelte individuali è il modo "political correct" di "chiamarsi fuori" dal possibile tentativo di riformulare il patto, in questo caso, di un'organizzazione ideologica e rappresentativa. Sentirsi estranei e rispettare l'altro non sono altro che due modi solo apparentemente differenti di dire la fine del proprio esistere come entità collettiva.
La maggioranza di governo
Il Senatùr ogni tanto dice quello che pensa. Fuori dalle anguste mura dei Palazzi Ministeriali, quando incontra il popolo padano, non riesce a trattenere il verbo ruspante delle origini. Questa volta è toccato alla Chiesa sentire le bacchettate sulle mani che sferrate da quel di Padova. Le reazioni degli amici della dx e del centro di governo non si sono fatte attendere: cattolici ed ex fascisti hanno messo all'indice l'invito di Bossi a rivedere l'8/1000 che ciascuno di noi ha la facoltà di versare alle Opere Papaline. La maggioranza scricchiola (dicono i malevoli) visto che il giochino sembra essere una minaccia accompagnata dal ricatto di non votare la Riforma Istituzionale "devolutiva" di prossima presentazione alle Camere.
L'immagine che ricaviamo da questo modo di gestire il legame di maggioranza, è di un'alleanza all'interno della quale il ricatto, la minaccia, il do ut des sono le forme attraverso le quali si trattiene o si espelle l'altro (partito). Alla stessa stregua dello Stato-Nazione, la maggioranza non si fonda su un legame ma su un'opportunità ferale: vietato sciogliersi, per convenienza o per minaccia. E chi cerca di insinuare altri scenari, ipotesi di divergenza, strade alternative viene immediatamente indicato come traditore, pazzo, avventuriero. Nessuna possibilità di rinegoziare, solo appello alla regola fondamentale per la quale ha senso una legittimazione di sovranità orami vecchia (in questo caso) di tre anni. Regola che sarà il Premier tanto invocato per far rispettare i patti tra i contendenti: tertium semper datur!
Dulcis in fundo .il Presidente del Consiglio
Gli hanno toccato il calcio e il Milan, direbbero i maligni. Dopo decine di frodi accertate ma non ancora giunte in giudizio. Dopo anni di mala finanza e di business megamilionario portato avanti da avventurieri del capitalismo Italiano (e non solo). Dopo bilanci sbianchettati e liftati, al confronto dei quali quelli di Parmalat e Cirio sono immacolati documenti con qualche errore contabile da piccola imprenditoria di provincia. Dunque, dopo tutto ciò, qualche malvagio magistrato di frontiera si è deciso a "rompere i maroni" alle società di calcio di serie A e B. E anche la più importante ragione di vita di milioni di italioti pallonari traballa e la rivolta incombe: che la Giustizia si metta a rovinare al maschio italiano anche la domenica è veramente troppo!!
Come avrebbe potuto tacere il Cavaliere-Presidente?! Coerente al suo stile ha alzato il tiro: "Altro che Giustizia da Prima Repubblica, siamo in pieno STATO di POLIZIA".
Come a chiamarsi fuori da un legame (quello statuale) che lui stesso rappresenta e contribuisce a comunicarci quasi ogni giorno. Sembra paradossale, ma è così: il Presidente del governo eletto dagli italiani accusa lo stato che governa di andare verso la deriva haitiana. Come a dire che il suo è un Essere Sovrano "absolutus" da qualsiasi legame di appartenenza mondano. Come a confermare che lo Stato che governa, trova nell'eccezione il suo fondamento: la sovranità si presenta come autorità che dell'eccezione fa la sua regola, poiché di fatto si colloca fuori dell'ordinamento costituzionale. Anzi il Cavaliere si dichiara (oggi, ma non è la prima volta) non solo come Altro dalla Legge ma come Legge in sé e di per sé.