Luglio 2003


Aldiqua delle colonne d'Ercole, ovvero dell'inviolabile tabù chiamato "democrazia" (Acarus)

 Roma 10 novembre 2001 …
 La giornata iniziò male.
La mattina dovevo andare ad un funerale.
Era morto un mio vecchio amico. Marcello.
Partigiano combattente a La Spezia, nei GAP.
Viaggiò. Nel 1968 era a Chicago.
Ripeteva spesso uno slogan del "Movement" americano "Here and Now". Qui ed Ora!

Sbancor, American Nightmare

La Democrazia (rappresentativa, parlamentare, occidentale) è oggi non criticabile, equiparabile al ruolo svolto in passato dalla divinità, occupa il topos dal quale ogni riflessione politica deve partire e al quale deve ricongiungersi. Ancora formalmente immutata rispetto a quando è nata, oltre due secoli fa, si è sostenuta sulla tradizione greca e romana dell’agorà e della repubblica, sull’habeas corpus inglese che difendeva i cittadini dall’assolutismo dei sovrani, sul sogno francese di “libertà, uguaglianza, fraternità”, sul principio americano della divisione dei poteri.  Stato e Democrazia sono state la prima promessa, nella Storia, del diritto di tutti alla sovranità e alla ricerca della felicità (cfr. Ivan Dobre, Detriti sul Delta).

Ma nessuna di tale premesse nobili oggi ha una parvenza di realtà. Le rappresentazioni (costituzioni, principi, leggi) contemporanee sono simulacri di quanto era posto a fondamento ed origine oltre due secoli fa.  Ciò che sorprende è che anche le più aspre critiche alla democrazia nelle sue forme odierne cadono nell'impossibilità di uscire dal modello. La critica non scarta di lato, non esce dalle frontiere, non affronta i principi, non immagina scenari, che escano o travalichino il "campo democratico". 

L’opinione, quasi unanime e prevalente, è che le forme dello Stato e della  Democrazia parlamentare siano la “fine della Storia”, il modello al quale omologare il pianeta, il punto di arrivo della convivenza sociale (cfr. Detriti sul Delta).

Anche la critica, radicale e stimolante, ricca di interessanti intuizioni di BIFO (per un'Europa minore, Rekombinant) sul fallimento della costituzione europea e sulla possibile sua alternativa a partire da un "governo delle minoranze" ispirato ai processi di partecipazione ed espressione della "rete delle reti", non fuoriesce dal paradigma democratico: "Un ripensamento radicale della democrazia è all'ordine del giorno. Alla parola democrazia non corrisponde quasi più niente, da quando la dimensione globale ha preso il sopravvento sulla dimensione locale, nazionale o regionale….. Ciò con cui ci misuriamo è una crisi postmoderna della democrazia che chiede un modello postmoderno di ridefinizione della democrazia".

Perché ridefinire la democrazia e non cominciare invece a pensare oltre al paradigma? Perché (parafrasando il collettivo WU MING) non cimentarsi nella ricerca di miti fondativi, che diano voce alla immaginazione collettiva ancora costretta nel simulacro del sogno moderno occidentale della democrazia planetaria?

Insomma la Democrazia come paradigma della storia politica dell'umanità è un tabù inviolabile. Chiunque ne discuta sembra essere attanagliato dalla paura di oltrepassare le "colonne d'Ercole" costituite da concetti quali sovranità popolare, "one man one vote", divisione dei poteri, uguaglianza dei diritti. Forse perché lo sguardo della critica è orientato al passato: come se, negare il valore della democrazia significhi immediatamente un ritorno alle forme che la democrazia ha legittimamente, con grande fortuna per tutti, spazzato via.

Eppure la strada di una riflessione critica originale - nel senso di fondativa, e non semplicemente decorativa - può essere spianata dalla spallata di Sbancor (American Nightmare, Nuovi Mondi Media, 2003) alla storia virtuale dell'ultimo cinquantennio. Perché virtuale erano tutte le illusioni che ci eravamo fatti  - dal dopoguerra ad oggi - sulla nostra (nostra inteso come Popolo della Terra) influenza sugli avvenimenti nazionali e internazionali. Mentre reale era ed è il warfare, braccio operativo della "counterinsurgency operations" praticata dalle lobbies (gangs) anglo americane alla faccia di qualsiasi democrazia (imperiale o meno che sia) e di qualsiasi governo, sopravvissute e prosperate anche a qualsiasi membro (potente o meno) ne abbia fatto parte.

In questo senso si potrebbe iniziare a percorrere il paradigma "democrazia", capaci ad (come ben dice WU MING nella sua recente antologia "Giap!") "essere disposti a trovare ciò che non si stava cercando, a valutare correttamente l'imprevisto. Essere serendipici significa conquistare l'attitudine che ti fa gioire delle deviazioni, dei lavori in corso, delle strade maestre bloccate, perchè l'esperienza di lasciare la carreggiata e battere altri sentieri ci farà trovare qualcosa". 

Senza questa attitudine…….non si può capire come la contemporanea democrazia imperio-occidentale si fondi (tra l'altro) su: 

1. la decostruzione dello spazio/la produzione di nuovi spazi: dal Kossovo a Kabul (1 e 2) passando per Mosca, il gioco imperiale si struttura (da 15 anni a questa parte) nella definizione di ciò che deve stare all'interno di un confine e di ciò che deve essere espulso da esso, magari costruendo una spazio ad hoc. Dalla ex Jugoslavia alla ex Unione Sovietica, il prodursi continuo di implosioni e ricostruzioni tende rapidamente a definire ambiti di controllo fruibili e colonizzabili.

2. l'apparente eccentricità e il costante nomadismo degli spazi da oKKupare: oggi a Baghdad, domani a Kuala Lumpur, dopo nel Laos e magari in Corea… la democrazia imperiale modifica rapidamente il focus dell'esportazione del suo modello, apparentemente senza una logica, ma in realtà con un continuum di senso strategico, rintracciabile negli interessi energetici (le nuove pipelines sono euroasiatiche, come dice Sbancor) e/o finanziari (la droga tornerà a prodursi in Indocina), e/o di mercato (la Cina sarà un nuovo mercato economico o il principale avversario da contrastare?) economico e delle armi;

3. la repressione dei conflitti interni (interspazio) in nome delle emergenze internazionali (inter-spazio): è la storia americana dopo l'11 settembre ma anche quella domestica che a "cascata" produce leggi e norme che negano libertà individuali, disciplinano comportamenti collettivi, limitano spazi di influenza personali, intendono dirimere preventivamente qualsiasi questione potenzialmente conflittuale o divergente.

4. l'esaltazione dello spazio (stato) nazionale come fondamento del monopolio della forza imperiale:  parafrasando Badiou  lo stato non si fonda su un legame sociale, di cui sarebbe espressione, ma sul suo scioglimento (déliaison), che vieta. Il simulacro (bandiera e inno) dello stato nazione è funzionale all'esportazione del modello democratico a qualsiasi prezzo (economico) e a qualsiasi prezzo (di vite umane). Lo stato che non si adegua al modello occidental-democratico è un "stato canaglia" (rogue state) spazio da fronteggiare, disarticolare, okkupare e, se possibile, annettere all'ideale della pace mondiale "sub american condicione".