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Luglio 2003
Aldiqua
delle colonne d'Ercole, ovvero dell'inviolabile tabù chiamato "democrazia" (Acarus)
La
Democrazia (rappresentativa, parlamentare, occidentale) è oggi non criticabile,
equiparabile al ruolo svolto in passato dalla divinità, occupa il topos
dal quale ogni riflessione politica deve partire e al quale deve ricongiungersi.
Ancora formalmente immutata rispetto a quando è nata, oltre due secoli fa,
si è sostenuta sulla tradizione greca e romana dell’agorà e della repubblica,
sull’habeas corpus inglese che difendeva i cittadini dall’assolutismo dei
sovrani, sul sogno francese di “libertà, uguaglianza, fraternità”, sul principio
americano della divisione dei poteri. Stato e Democrazia sono
state la prima promessa, nella Storia, del diritto di tutti alla sovranità
e alla ricerca della felicità (cfr. Ivan Dobre, Detriti
sul Delta).
Ma
nessuna di tale premesse nobili oggi ha una parvenza di realtà. Le rappresentazioni
(costituzioni, principi, leggi) contemporanee sono simulacri di quanto era
posto a fondamento ed origine oltre due secoli fa. Ciò che
sorprende è che anche le più aspre critiche alla democrazia nelle sue forme
odierne cadono nell'impossibilità di uscire dal modello. La critica non
scarta di lato, non esce dalle frontiere, non affronta i principi, non immagina
scenari, che escano o travalichino il "campo democratico".
L’opinione,
quasi unanime e prevalente, è che le forme dello Stato e della Democrazia
parlamentare siano la “fine della Storia”, il modello al quale omologare
il pianeta, il punto di arrivo della convivenza sociale (cfr. Detriti sul
Delta).
Anche
la critica, radicale e stimolante, ricca di interessanti intuizioni di BIFO
(per un'Europa minore, Rekombinant) sul fallimento della costituzione europea
e sulla possibile sua alternativa a partire da un "governo delle minoranze"
ispirato ai processi di partecipazione ed espressione della "rete delle
reti", non fuoriesce dal paradigma democratico: "Un ripensamento
radicale della democrazia è all'ordine del giorno. Alla parola democrazia
non corrisponde quasi più niente, da quando la dimensione globale ha preso
il sopravvento sulla dimensione locale, nazionale o regionale….. Ciò
con cui ci misuriamo è una crisi postmoderna della democrazia che chiede
un modello postmoderno di ridefinizione della democrazia".
Perché
ridefinire la democrazia e non cominciare invece a pensare oltre al paradigma?
Perché (parafrasando il collettivo WU
MING) non cimentarsi nella ricerca di miti fondativi, che diano voce
alla immaginazione collettiva ancora costretta nel simulacro del sogno moderno
occidentale della democrazia planetaria?
Insomma
la Democrazia come paradigma della storia politica dell'umanità è un tabù
inviolabile. Chiunque ne discuta sembra essere attanagliato dalla paura
di oltrepassare le "colonne d'Ercole" costituite da concetti quali
sovranità popolare, "one man one vote", divisione dei poteri,
uguaglianza dei diritti. Forse perché lo sguardo della critica è orientato
al passato: come se, negare il valore della democrazia significhi immediatamente
un ritorno alle forme che la democrazia ha legittimamente, con grande fortuna
per tutti, spazzato via.
Eppure
la strada di una riflessione critica originale - nel senso di fondativa,
e non semplicemente decorativa - può essere spianata dalla spallata di Sbancor
(American Nightmare, Nuovi Mondi Media, 2003) alla storia virtuale dell'ultimo
cinquantennio. Perché virtuale erano tutte le illusioni che ci eravamo fatti
- dal dopoguerra ad oggi - sulla nostra (nostra inteso come Popolo
della Terra) influenza sugli avvenimenti nazionali e internazionali. Mentre
reale era ed è il warfare, braccio operativo della "counterinsurgency
operations" praticata dalle lobbies (gangs) anglo americane alla faccia
di qualsiasi democrazia (imperiale o meno che sia) e di qualsiasi governo,
sopravvissute e prosperate anche a qualsiasi membro (potente o meno) ne
abbia fatto parte.
In
questo senso si potrebbe iniziare a percorrere il paradigma "democrazia",
capaci ad (come ben dice WU MING nella sua recente antologia "Giap!")
"essere disposti a trovare ciò che non si stava cercando, a valutare
correttamente l'imprevisto. Essere serendipici significa conquistare
l'attitudine che ti fa gioire delle deviazioni, dei lavori in corso, delle
strade maestre bloccate, perchè l'esperienza di lasciare la carreggiata
e battere altri sentieri ci farà trovare qualcosa".
Senza
questa attitudine…….non si può capire come la contemporanea democrazia imperio-occidentale
si fondi (tra l'altro) su:
1.
la decostruzione dello spazio/la produzione di nuovi spazi: dal Kossovo
a Kabul (1 e 2) passando per Mosca, il gioco imperiale si struttura (da
15 anni a questa parte) nella definizione di ciò che deve stare all'interno
di un confine e di ciò che deve essere espulso da esso, magari costruendo
una spazio ad hoc. Dalla ex Jugoslavia alla ex Unione Sovietica, il prodursi
continuo di implosioni e ricostruzioni tende rapidamente a definire ambiti
di controllo fruibili e colonizzabili.
2.
l'apparente eccentricità e il costante nomadismo degli spazi da oKKupare:
oggi a Baghdad, domani a Kuala Lumpur, dopo nel Laos e magari in Corea…
la democrazia imperiale modifica rapidamente il focus dell'esportazione
del suo modello, apparentemente senza una logica, ma in realtà con un continuum
di senso strategico, rintracciabile negli interessi energetici (le nuove
pipelines sono euroasiatiche, come dice Sbancor) e/o finanziari (la droga
tornerà a prodursi in Indocina), e/o di mercato (la Cina sarà un nuovo mercato
economico o il principale avversario da contrastare?) economico e delle
armi;
3.
la repressione dei conflitti interni (interspazio) in nome delle emergenze
internazionali (inter-spazio): è la storia americana dopo l'11 settembre
ma anche quella domestica che a "cascata" produce leggi e norme
che negano libertà individuali, disciplinano comportamenti collettivi, limitano
spazi di influenza personali, intendono dirimere preventivamente qualsiasi
questione potenzialmente conflittuale o divergente.
4.
l'esaltazione dello spazio (stato) nazionale come fondamento del monopolio
della forza imperiale: parafrasando Badiou lo
stato non si fonda su un legame sociale, di cui sarebbe espressione, ma
sul suo scioglimento (déliaison), che vieta. Il simulacro (bandiera e inno)
dello stato nazione è funzionale all'esportazione del modello democratico
a qualsiasi prezzo (economico) e a qualsiasi prezzo (di vite umane). Lo
stato che non si adegua al modello occidental-democratico è un "stato
canaglia" (rogue state) spazio da fronteggiare, disarticolare, okkupare
e, se possibile, annettere all'ideale della pace mondiale "sub american
condicione".